Le avventure in musica di Sounds & Grooves continuano con il 12° Episodio della 12° Stagione di RadioRock.to The Original
Dopo i due podcast dedicati alla classifica si torna alla programmazione regolare
La Radio Rock in FM come la intendiamo noi è sparita da due decenni, ma in questi 12 anni stiamo tenendo accesa una fiammella, cercando di raddoppiarla, moltiplicarla, farla diventare un faro di emozioni e qualità musicale con tutta la passione e la voglia di fare radio che nonostante tutto non ci è mai passata.
Questa è la spinta che ha sempre animato noi di radiorock.to, che per celebrare la 12° stagione abbiamo messo in campo alcune novità. A partire dall’atteso restyling del sito, al nuovo hashtag #everydaypodcast che ci caratterizza, per finire (last but not least) alla qualità della musica e del parlato che speriamo sempre sia all’altezza della situazione e soprattutto delle vostre aspettative.
Archiviata la temutissima classifica si torna alla normale programmazione di radiorock.to con un podcast di circa 100 minuti dove troverete il mio omaggio a Mark E Smith, leader dei The Fall scomparso recentemente, e al mai troppo ricordato Terry Kath, chitarrista dei Chicago, drammaticamente scomparso 40 anni fa. C’è spazio per i discepoli di Mark E Smith, Fat White Family, l’hardcore adulto di Husker Du e Unwound, quello melodico dei Dinosaur Jr, le chitarre scomposte dei Polvo, l’ironica meraviglia noise dei nostrani Zeus!, il post rock eroico dei GY!BE, i paladini del post punk/noise britannico The Membranes, il pop intelligente dei Darto, l’album del passaggio da shoegaze a britpop dei Ride, il gran ritorno dei Portishead e la chiusura affidata alla tromba avant jazz di Jaimie Branch. Insomma, un menu per tutti i palati.
Download, listen, enjoy!!!
Prima di partire con questo viaggio in musica potete effettuare il download del podcast anche nella versione a 320 kb/s semplicemente cliccando sul banner qui sotto.
Non si è mai preparati alla perdita di un gigante della musica come Mark Edward Smith, che ci ha lasciati poche settimane fa a 60 anni. La sua creatura, i The Fall, sono stati una delle band di culto e più importanti della scena post-punk britannica, di cui faranno parte gruppi come Joy Division e Buzzocks. Carattere difficile come dimostrano i cambiamenti all’interno della band, Smith è stato un intellettuale scettico nei confronti dell’arte in generale. La sua musica e le sue liriche erano intense, ripetitive, pervase da uno scuro senso dell’umorismo. Ha guidato il suo gruppo per 40 anni, senza mai avere un successo planetario, ma riscuotendo sempre il favore della critica e del suo fedele seguito di fans. Il suo carattere non era facile, come dimostrano i 66 musicisti che si sono avvicendati intorno a lui da 40 anni a questa parte. New Facts Emerge, è stato il suo ultimo (ottimo) album in studio, uscito nel 2017 con una formazione che incredibilmente lo accompagnava stabilmente da 10 anni.
Per omaggiarlo sono voluto tornare indietro al 1979, al suo album di esordio intitolato Live At The Witch Trials. Visto che i The Fall erano i beniamini di John Peel, quale modo migliore per riascoltarlo che una splendida versione della trascinante “Futures And Pasts” tratta da una Session del 1978 registrata proprio per il programma del noto speaker della BBC. Ciao Mark, eri un bastardo vero, ma la tua visione musicale e la tua lingua tagliente ci mancheranno moltissimo
Un outsider autarchico come Mark E. Smith non poteva che essere una enorme fonte di ispirazione. Soprattutto quando a coglierne gli spunti sarcastici e strambi sono musicisti come questo gruppo multietnico proveniente dalla zona sud di Londra. I The Fat White Family in breve tempo sono diventati un gruppo seguito e controverso, forse uno dei pochi veri casi musicali provenienti dalla capitale britannica, da tempo in cerca della “Next Big Thing”. La principale ragione di questo entusiasmo, a parte l’attenzione dei media, è sicuramente la loro abilità nel miscelare elementi garage punk, influenze folk, spunti lisergici e manciate di lo-fi, e trasformare il tutto in un risultato tanto sbilenco quanto stranamente equilibrato, tanto dissacrante quanto orecchiabile.
L’album in realtà era stato diffuso inizialmente solo attraverso la pagina Bandcamp del gruppo, ma la qualità della proposta e la “reputazione” del gruppo hanno poi lanciato l’esordio Champagne Holocaust verso la distribuzione attraverso l’etichetta Trashmouth, con la sorpresa finale di trovarlo inserito in molte classifiche 2013 di webzines e riviste specializzate di oltremanica. La band capitanata dallo stravagante Lias Saudi conferma il suo status psicotico con una “Without Consent” splendida nel suo alternare ritmi tribali e umori lisergici. Un anno dopo faranno uscire un singolo chiamato “I Am Mark E Smith” tanto per confermare il legame con lo scomparso leader dei The Fall. Grotteschi, estremisti, sfrenati, psicotici, viscerali: insomma in una sola parola IRRESISTIBILI! Una boccata di aria fresca che ci voleva nello stantio magazzino del rock attuale.
Nello scorso settembre avevamo parlato di un cofanetto che la splendida etichetta Numero Group, specializzata in ristampe, aveva approntato per raccontare i primi passi di una band storica come gli Hüsker Dü. Purtroppo appena 10 giorni dopo la felicità si era trasformata in infinita tristezza per la prematura scomparsa di Grant Hart. Hart aveva formato gli Hüsker Dü insieme a Bob Mould e Greg Norton nel 1979 dando una nuova connotazione al punk, mantenendo l’urgenza dell’hardcore, ma allo stesso tempo imprimendo una svolta melodica ed introspettiva, rendendo la band estremamente attuale e avendo un impatto notevole sui giovani negli anni ’80. La band di Minneapolis era sempre in bilico tra la cupa introspezione di Mould e la spavalderia di Hart, che si spartivano da (quasi) buoni fratelli la scrittura delle tracce dei dischi. Savage Young Dü è un meraviglioso box antologico di 69 pezzi (47 dei quali assolutamente inediti) che documenta l’attività della band di Minneapolis tra 1979 e il 1982, un arco di tempo che dagli esordi arriva fino ai mesi precedenti al passaggio alla SST. “Diane“ era stata originariamente registrata dalla band per l’EP Metal Circus uscito nel 1983, ma la band la suonava già da tempo on stage. La canzone era stata scritta proprio da Grant Hart, e parla di un vero fatto di cronaca. L’omicidio di Diane Edwards, una cameriera di St.Paul (Minnesota), avvenuto nel 1980, viene riletto dal terribile punto di vista dell’omicida Joseph Ture. Questa versione è stata registrata dal vivo nel 1981 proprio a casa loro, a Minneapolis.
Gli Unwound sono stati dei veri e propri giganti dell’hardcore americano degli anni ’90. I riff granitici e le soluzioni ricche di spasmi e di lacerante elettricità li hanno resi tra le migliori band del genere e non solo. Justin Trosper, voce e chitarra, Vern Rumsey, basso, e Sarah Lund, batteria già con il precedente Fake Train avevano gettato le basi per una carriera sfolgorante, trovando la piena maturità con il successivo New Plastic Ideas (1994) che ne cesella le capacità compositive e l’incredibile capacità di scrittura che rimarrà incredibilmente alta qualitativamente fino alla fine della loro parabola artistica. L’album si snoda tra grandi scariche nevrotiche e splendide soluzioni armoniche, come in questa “All Souls Day”. Recentemente, proprio la Numero Group, specializzata in preziosi recuperi, ha raccolto tutti gli album (mai ristampati e di non troppo facile reperibilità) della band in quattro imperdibili cofanetti, integrando il tutto con un live inedito che ne racchiude l’incredibile energia on stage.
Più di una volta abbiamo parlato dei Membranes di John Robb sulla pagine di Sounds & Grooves, sia nella stesura dei podcast che in fase di recensione. Il gruppo rimase attivo dal 1981 al 1989, incidendo 6 album ed una manciata di singoli ed EP. Il loro art-punk interessante e spigoloso, arguto e scazzato, ma non privo di una spiccata componente pop, riuscì a catturare solo lo status di gruppo di culto e l’ammirazione di una piccola fetta di pubblico tra cui, fortunatamente, c’erano anche alcuni personaggi di un certo rilievo per la storia del rock tra cui John Peel, Mark Stewart e Steve Albini. Dopo lo scioglimento del gruppo, Robb si dedicò quasi esclusivamente al mestiere di giornalista, sia televisivo per la BBC sia come autore di libri, pubblicando, tra le altre cose, anche una splendida retrospettiva sul periodo punk intitolata Punk Rock: An Oral History.
Nel 2010 John Robb ha deciso di riformare la band, facendo uscire cinque anni più tardi un album strepitoso intitolato Dark Matter/Dark Energy. Recentemente la Cherry Red ha raccolto tutto il materiale inciso dalla band nei suoi primi anni di attività in uno splendido cofanetto formato da 5 CD ed intitolato Everyone’s Going Triple Bad Acid, Yeah! (The Complete Membranes 1980 – 1993). Difficile scegliere un brano, ma alla fine ho deciso proporvi quello che forse è stato il loro migliore singolo in assoluto: l’incendiaria “Spike Milligan’s Tape Recorder” pubblicata come 7″ nel 1984, che ha contribuito non poco ad accrescere in maniera esponenziale la fama sotterranea della band di Blackpool.
Gli Zeus! nascono nell’ottobre 2010 come duo composto dal bassista Luca Cavina (Calibro 35, collaboratore di Beatrice Antolini, ed altri) e dal batterista Paolo Mongardi (Fuzz Orchestra, Ronin, Il Genio, ex Jennifer Gentle). In realtà i nomi citati sono solo i più noto visto che i due hanno collaborato a moltissimi progetti più o meno trasversali. Cavina e Mongardi si sono conosciuti suonando insieme ad inizio millennio con i bolognesi Transgender, autori di tre pregevoli album di crossover che andavano a pescare tra le influenze più disparate. Opera è il secondo album a nome Zeus!, pubblicato nel 2013. Il disco vede anche la collaborazione di Justin Pearson (Locust, Dead Cross), personaggio avvezzo ad addentrarsi nei meandri oscuri di un certo tipo di noise-hardcore. La simbiosi tra i due musicisti è un sano collaborazionismo, dal quale sono nate cose positive ed interessanti, dove la rumorosità e la ricerca sonora vanno a braccetto con una sana autoironia. Ecco arrivare quindi titoli esilaranti come “Lucy In The Sky With King Diamond”, “La Morte Young” o “Blast But Not Liszt” che la dicono lunga sull’ironica creatività del due musicisti. E se avete ancora dei dubbi, ascoltate la meraviglia space rock di “Eroica”, supportata da un incessante motorik. Impossibile non amare questa grande macchina da guerra.
In qualche modo si può parlare dei Polvo come abbiamo già detto in modo più approfondito dei Brainiac, anche se questi ultimi hanno dovuto interrompere la loro corsa al successo per cause (tragiche) di forza maggiore. La band del North Carolina nel corso degli anni ’90 ha inciso quattro album, lasciando una scia di taglienti riff chitarristici che si alternano tra noise e melodia psichedelica che verrà seguita da molti gruppi negli anni a seguire. Il gruppo si scioglie nel 1998 per poi riunirsi a sorpresa 10 anni più tardi. Per certi versi Exploded Drawing (1996) è l’album della maturità. Guidati in cabina di regia da Bob Weston (Slint e molti altri), il gruppo incide per una delle etichette più in vista del momento, la Touch And Go, trovando il perfetto equilibri tra il rumore e le sghembe melodie. Ash Bowie e Dave Brylawski (Voce e chitarre), Steve Popson (basso) e Eddie Watkins (batteria), trovano sempre il modo di inserire delle soluzioni imprevedibili in ogni traccia. Il loro è uno stop and go adrenalinico e coinvolgente, come dimostra “In This Life”. Il loro batterista originario Eddie Watkins non ha partecipato alla reunion ed è scomparso nell’aprile del 2016.
A proposito della sacra unione tra rumore e melodia. C’è chi ne ha fatto una bandiera sventolata con orgoglio e qualità sin dalla metà degli anni ’80. Sto parlando dei Dinosaur Jr, band formata da J Mascis (chitarra e voce), Lou Barlow (basso) e Emmett “Murph” Murphy (batteria) nel solco di quelle band di enorme rilevanza come Minutemen, Hüsker Dü, Pixies che hanno rivoltato come un calzino il suono “duro” nella seconda metà degli anni ’80. Bug è stato l’apice creativo della band, l’ultimo con Barlow in formazione, un disco dove il volume altissimo delle chitarre viene spazzato da aperture melodiche enormi. La trilogia di esordio del gruppo è incredibile, dall’esordio ancora acerbo al capolavoro You’re Living All Over Me, terminando la corsa con Bug che ne definisce compiutamente l’estetica sonora. La band continuerà la sua corsa negli anni ’90, facendo da apripista al grunge ma non convincendo più pienamente. Mascis ha riformato il gruppo nel 2007, dieci anni dopo lo scioglimento. “Yeah We Know” è il perfetto manifesto di come una bomba pop possa nascondersi dietro un numero elevatissimo di decibel.
Il collettivo di Montreal Godspeed You! Black Emperor, dopo qualche anno di pausa, è fortunatamente tornato ad incidere con una frequenza regolare. Anche per quanto riguarda l’ultimo Luciferian Towers non viene certo a mancare il fascino ipnotico, epico, senza compromessi di una band che sin dall’indimenticabile esordio F#A#∞ del 1997 ha saputo trovare una formula unica composta da cavalcate eroiche che si innalzano al cielo come una bandiera che i GY!BE riescono a tenere sempre alta incuranti del vento che cambia. Chissà se la nuova formula, che da qualche disco a questa parte li ha portati ad essere meno prolissi, non abbia reso ancora più potente il loro suono senza compromessi. “Anthem For No State” è la lunga ed eroica traccia che chiude questa sorta di concept politico. Un disco secondo il mio modesto parere leggermente inferiore al precedente Asunder, Sweet And Other Distress ma sempre di enorme ed indomita classe.
Non si sa moltissimo di loro, se non che sono un quartetto multietnico che viene da Seattle, e che propongono una sorta di pop obliquo ben equilibrato negli intelligenti riferimenti ed ingredienti. Si chiamano Darto e Human Giving è il loro album di debutto. Tra elettronica e dream pop, tra art rock e americana si snodano le 12 tracce di questo esordio che mostra una notevole capacità di scrittura. Originali quanto basta, sospesi tra sogno e realtà, con l’alternanza tra voci maschili e femminili a dare quel tocco di imprevedibilità in più. “Omniscient” è uno dei brani più interessanti del lotto, con un andamento da Beach House sotto acido che sa conquistare. Sotto quel corpo formati da battiti e tastiere analogiche c’è un cuore che batte forte, un album da ascoltare che saprà essere una compagnia più che piacevole.
C’era una volta lo shoegaze, e c’era una volta anche il britpop. C’era una band che si è trovata nel suo momento migliore in mezzo a questo bivio nella sua carriera. I Ride da Oxford avevano fornito nel 1990 probabilmente una delle versioni migliori dello shoegaze britannico con l’album Nowhere, naturalmente accompagnati dai compagni di etichetta (la lungimirante all’epoca Creation Records di Alan McGee) My Bloody Valentine di cui loro erano il contraltare meno sporco e più sognante. La psichedelia sospesa tra dimensione onirica e distorsioni talvolta violente si erano leggermente trasformate nel successivo Going Blank Again in una soluzione più razionale e melodica.
Il dissidio interno tra i due leader del gruppo, Mark Gardener e Andy Bell, porta il successivo Carnival Of Light ad essere non troppo coeso nella sua risultanza complessiva, sospeso tra folk psichedelico e quel britpop che di li a poco sarebbe esploso grazie ai compagni di etichetta Oasis. Ma il disco presenta comunque notevoli picchi e momenti di goduria sonora, come l’apertura magniloquente di “Moonlight Medicine”, scritta e cantata da Gardener, ed impreziosita dall’Hammond suonato da Jon Lord dei Deep Purple. Il gruppo, lacerato dai dissidi interni, si scioglierà dopo il successivo, mediocre, Tarantula, riformandosi a sorpresa con la formazione originale nel 2017.
40 anni fa ci ha lasciato per un tragico gioco Terry Kath, uno dei più straordinari chitarristi e cantanti della storia del rock. Ho cercato di ripercorrerne la strada e di ricordarne l’incredibile talento in un lungo articolo scritto proprio nell’anniversario della scomparsa. Se non avete mai sentito parlare di Terry Kath probabilmente è a causa della cattiva fama della sua band di appartenenza. Effettivamente i Chicago da molti sono ricordati quasi esclusivamente per aver inciso ballate e hit-singles come “If You Leave Me Now” o “Hard To Say I’m Sorry”. Ma in realtà i Chicago, nati nel 1967 in un’epoca straordinariamente creativa e prolifica, sono stati un gruppo di assoluto valore. Impegnati politicamente e di grande impatto musicale, con una solida e fantasiosa sezione di fiati ed un fantastico impianto jazz rock.
Kath aveva formato il primo nucleo della band insieme a due inseparabili amici: il batterista Danny Seraphine ed il sassofonista Walter Parazaider. Con l’innesto dei due compagni di Parazaider alla DePaul University di Chicago, James Pankow (trombone) e Lee Loughnane (tromba) si forma una solida e fantastiosa sezione fiati. A questo si aggiunge il talento del tastierista Robert Lamm e del bassista Peter Cetera ed ecco formato un gruppo che per i primi anni della loro carriera sfornerà album memorabili.
Chicago II esce nel 1970 ed è un successo ancora maggiore dell’album di esordio: numero 4 nella Billboard 200, numero 6 in Gran Bretagna, tre singoli nella top ten della Billboard Hot 100 (“25 or 6 to 4” al N°4, “Make Me Smile” al N°9 e “Colour My World” al N°7), e tre nominations ai Grammy Award. Proprio “25 or 6 to 4” è uno dei migliori esempi dell’incredibile tocco di Kath, talmente straordinario da far esclamare ad un incredulo Jimi Hendrix “Questo chitarrista è più bravo di me!”.
Ufficialmente sono semplicemente in pausa di riflessione i Portishead nati a Bristol dall’incontro tra l’ingegnere del suono e musicista Geoff Barrow e la cantante Beth Gibbons. Barrow aveva collaborato in studio alla nascita di una vera pietra miliare del genere, Blue Lines dei Massive Attack, e rimase talmente affascinato da quelle sonorità da decidere di formare un gruppo per svilupparle secondo le sue idee e la sua personalità. Trovato il perfetto contraltare vocale in Beth Gibbons, aveva già formato di fatto il primo nucleo della band che che prese il nome dalla città dove era cresciuto, Portishead, nel Somerset, Sud-Ovest Inglese. Dummy, il loro album di esordio, vede la formazione allargata a trio con l’inserimento del chitarrista di estrazione jazz Adrian Utley, ed è una collezione di visioni cinematiche segnate dai ritmi pennellati da Barrow che alternano ballate languide a movimenti sincopati, il tutto cesellato dalla voce di Beth Gibbons che sussurra, invoca al cielo, emoziona.
Dopo essere stati la band cardine del movimento trip-hop insieme proprio ai Massive Attack, i tre si sono presi una (prima) lunga pausa prima di tornare dopo 11 anni. L’ album Third, uscito nel 2008, risulta personale ed attuale anche a distanza di anni, convincendo senza mai riciclare lo schema vincente dell’esordio con intuizioni geniali e l’inserimento di suggestioni kraut rock. Basti ascoltare lo splendido incedere di “We Carry On”.
Chiudiamo il podcast con uno degli album di alternative jazz più interessanti usciti nel 2017. Fly Or Die è l’esordio sulla lunga distanza per la trombettista di Chicago Jaimie Branch. La Branch ha offerto il suo contributo ad un’ampia gamma di progetti, non solo nel jazz ma anche in ambito post punk, noise, indie rock, musica elettronica e hip-hop. Non contenta del suo lavoro come compositrice e produttrice, ha trovato il tempo di suonare come turnista per artisti del calibro di William Parker, Matana Roberts, TV On The Radio e Spoon. Insomma, un’artista completa che ha voluto portare la sua visione jazz da Chicago a New York, facendosi accompagnare da musicisti del calibro della versatile violoncellista Tomeka Reid, del contrabassista Jason Ajemian e dello stellare batterista Chad Taylor. Il risultato sono 35 minuti di assoluta meraviglia, un suono forte e coraggioso, tradizionale ma alternativo. “Theme Nothing” è una delle meraviglie del disco, un ritmo ipnotico ed una melodia che rimane in testa, il tutto condito dalle stellari interpretazioni dei musicisti coinvolti. Un album che si posiziona senza dubbio tra i migliori dell’anno.
Spero abbiate gradito l’atteso restyling del sito, per questo e molto altro, un grazie speciale va sempre a Franz Andreani. A cambiare non è solo la veste grafica, ma anche la “filosofia” della podradio, con le rubriche che vanno ad integrarsi nella programmazione regolare sotto l’hashtag #everydaypodcast. Tutte le novità le trovate sempre aggiornate in tempo reale sulla nostra pagina Facebook.
Nel prossimo episodio di Sounds & Grooves parleremo del decennale di una grande band italiana come i Calibro 35 e presenteremo un’altra splendida realtà del nostro stivale come i Lovexpress. Non contento parleremo di punk, sia americano in compagnia di Richard Hell che inglese con gli Alternative TV. Ci sarà un tributo a Kurt Cobain e il ripescaggio del disco di Alan Bishop aka Alvarius B, ingiustamente dimenticato in fase di playlist 2017.
Intanto se volete potete sfruttare la parte riservata ai commenti qui sotto per darmi suggerimenti, criticare (perché no), o proporre nuove storie musicali. Mi farebbe estremamente piacere riuscire a coinvolgervi nella programmazione e nello sviluppo del mio sito web.
Se volete ascoltare o scaricare il podcast, potete farlo anche dal sito della stessa PodRadio cliccando sulla barra qui sotto. Buon Ascolto

TRACKLIST
01. THE FALL: Futures And Pasts (John Peel BBC Session 15/6/78) da ‘Live At The Witch Trials’ (Step-Forward Records – 1979)
02. THE FAT WHITE FAMILY: With Out Consent da ‘Champagne Holocaust’ (Trashmouth Records – 2013)
03. HÜSKER DÜ: Diane (Live at Minneapolis 1981) da ‘Savage Young Dü’ (The Numero Group – 2017)
04. UNWOUND: All Souls Day da ‘New Plastic Ideas’ (Kill Rock Stars – 1994)
05. THE MEMBRANES: Spike Milligan’s Tape Recorder da ‘Spike Milligan’s Tape Recorder 7″’ (Criminal Damage Records – 1984)
06. ZEUS!: Eroica da ‘Opera’ (Tannen Records – 2013)
07. POLVO: In This Life da ‘Exploded Drawing’ (Touch And Go – 1996)
08. DINOSAUR JR.: Yeah We Know da ‘Bug’ (SST Records – 1988)
09. GODSPEED YOU! BLACK EMPEROR: Anthem For No State da ‘Luciferian Towers’ (Constellation – 2017)
10. DARTO: Omniscient da ‘Human Giving’ (Aagoo Records – 2017)
11. RIDE: Moonlight Medicine da ‘Carnival Of Light’ (Creation Records – 1994)
12. CHICAGO: 25 Or 6 To 4 da ‘Chicago II’ (Columbia – 1970)
13. PORTISHEAD: We Carry On da ‘Third’ (Island Records – 2008)
14. JAIMIE BRANCH: Theme Nothing da ‘Fly Or Die’ (International Anthem Recording Company – 2017)