Prendete Ryley Walker, un giovane chitarrista dedito al songwriting ed al fingerpicking, unitelo ad una band formata in parti uguali da vecchi marpioni e giovani talenti della scena jazz di Chicago, mettete il tutto all’interno della consolle pilotata da un certo Cooper Crain (geniaccio psichedelico membro dei Cave e dei Bitchin’ Bajas) e…
…mescolate per bene prima di servire questo cocktail a base di whisky rigorosamente su tavolini di legno all’interno di qualche ipotetico ambiente bucolico posto tra l’Illinois e la Gran Bretagna, e lasciatevi trasportare dall’effetto simile a quello dell’assenzio.Grazie all’apporto della sua band, Walker riesce a mettere maggiormente a fuoco il suono sviluppato nel precedente “All Kinds Of You”, arricchendolo di soluzioni e dettagli luccicanti ed integrando fortemente la sua scrittura con il retaggio della scena folk britannica dei ’70. Non sbaglierete cogliendo qua e là echi di Bert Jansch, Van Morrison (evocato perfino nella copertina), Nick Drake, Tim Buckley o John Martyn.
Già dalla title track posta in apertura, ci si muove in questa suggestiva ambientazione bucolica, dove il fingerpicking e la voce di Walker riescono facilmente a catturare l’attenzione. La successiva “Summer Dress” viene introdotta da un flusso jazz condotto dalla batteria di Frank Rosaly, dal contrabbasso di Anton Hatwich, e dal vibrafono di Jason Adasiewicz, con un simile sottofondo la chitarra ed il canto di Walker possono perdersi nei febbrili ed ossessivi deliri che ricordano il Tim Buckley di Starsailor. Il lirismo soffuso che anima “Same Minds” è segnato da un fingerpicking rigoglioso, mentre la ballata celtica “Griffiths Buck Blues” ci fa tornare indietro al tempo dei bardi. “Love Can Be Cruel” entra ed esce a piacimento dalla modalità “loop on”, mentre in “On The Banks Of The Old Kishwaukee”, il chitarrista di Chicago abbandona per un attimo la Gran Bretagna per ricordarsi delle tradizioni del suo paese.
Veniamo ad uno dei brani cardine del disco, quella “Sweet Satisfaction” che si dipana partendo da un incipit che profuma di bossanova, riprendendo e rinforzando il canovaccio della jam stratificata, il brano via via rivela il suo vero spartito mentre la voce e la chitarra di Walker vanno a lambire i magici confini dello stellare John Martyn di Solid Air. Gli archi e le melodie di “The High Road” ci fanno lentamente abbandonare la testa all’indietro nell’erba, abbracciando idealmente il ricordo di Nick Drake. L’harmonium di Ben Boye (membro di The Cairo Gang e della band che accompagna on stage Bonnie ‘Prince’ Billly) introduce uno dei momenti più lirici e rilassati dell’album, la soffusa “All Kinds Of You”, prima che “Hide In The Roses” chiuda idealmente il cerchio con un’elegia condotta magistralmente dalla inquieta sei corde di Walker.
In definitiva un album dove è ben chiara la linea temporale ed affettiva seguita dal chitarrista di Chicago, e che riesce a mantenere una scrittura impeccabile, emozionale e a volte sperimentale pur non facendo nulla per celare gli espliciti riferimenti. Le jam, le ossessive e jazzate inquietudini, l’afflato pastorale, le impennate psichedeliche, il virtuoso fingerpicking, tutto sembra amalgamarsi a meraviglia in un lavoro che riesce, e non è cosa da poco, a colpire, convincere ed emozionare. Anche se siamo ancora nella prima metà del 2015, questo è un disco che è già candidato di diritto a far parte delle varie playlist di fine anno.